Presente e passato "El risott giald"...In cucina con Mikamai
- Tiziana Pugliese TittiChef
- 25 mar 2016
- Tempo di lettura: 7 min

Il Risotto Giallo o alla Milanese, uno dei mie piatti preferiti, senza il quale sarebbe difficile vivere.
ll Risotto Giallo mi riporta indietro nel tempo , per poi ritornare ad oggi, sempre unendo me , attraverso il riso, a persone meravigliose.
Il Risotto Giallo l'ho conosciuto e l'ho imparato a mangiare dalle "zie" Boscani.
Le signorine Boscani abiatavano dove abitavo io , in uno stabile degli anni 30 in Corso di Porta Romana al 72, e con loro, e soprattutto con Angelica, che ho passato buona parte o comunque una parte considerevole della mia infanzia e anche adoloscenza.
Angelica, Pia e Maria erano tre sorelle, milanesi doc, proprietarie di un negozio, di tende, tappeti e zerbini, che oggi anche senza di loro , rimane uno dei negozi storici della vecchia Milano.

Tutte e tre erano orami in pensione, ma si occupavano del negozio che prima era stato dei loro genitori , per cui Pia e Maria con Lionello al negozio e Angelica a casa.
Maria era una vecchia maestra in pensione , aveva insegnato nella mia stessa scuola elementare, la Agnesi in via Quadronno a Milano, era rimasta vedova appena sposata, e suo marito Marcello, morì giovanissimo in Russia sulla strada del ritorno a casa.
Pia non si era mai sposata e si era sempre e solo occupata del negozio, Angelica era una pittrice, decorava bellissimi vasi di ceramica.
Angelica e Maria avevano anche un'altra passione la cucina, Maria invece preferiva mangiare e fumare una sigaretta di nascosto alla finestra della camera.
In questa cucina con queste tre sorelle, ho passato moltissimo tempo a fare i compiti, leggere, ascoltare le storie delle due guerre, delle loro vacanza a Pizzighettone, dei dispetti da bambine alla prevosta, alle visite del Re, dell'influenza spagnola, guardando vecchie foto belissime, i ricordi di un mondo dove per delle bambine una cassetta di prugne era qualcosa di irresistibile e un mandarino a Natale era il regalo più bello, tutto questo mentre si preparava la cena.
Tra Pia e Angelica erano sempre grandi discussioni sulle ricette, e su quale ingrediente fosse necessario , e Angelica, una vera miss perfettina, non poteva che dire alla sorella , "te se a dre a fa un carpogn", il milanese era d'obbligo come lingua, in compagnia delle zie.
Devo a loro tutta la parte della mia milanesità, e anche l'attenzione e la cura per molte cose.
Non posso dimenticare l'arrosto al latte della Pia , con il sughetto si condivano le tagliatelle, rigorosamente fatte in casa, il minestrone con un meraviglioso battutto di lardo e verdure, il pollo alla cacciatora, mai più in tutta la mia vita , ne ho mangiato uno così buono e con quel sapore
Da vere milanesi la pasta non si mangiava quasi mai, una volta ogni tanto, e il sugo era alla matriaciana, e ogni due sabati c'era la pizza.
Ma il Re , quello che facevano per me eral "el risott giald" che dopo un po' di discussione, era sempre Angelica a preparare.
E' vivo in me , il rito del brodo, e lo zafferano che Angelica si faceva portare dall'India, e già allora ricordo , l'impressione che mi faceva quella spezia preziosa, che conservava in un barattolino di vetro.

Angelica seguiva la ricetta della mamma, senza vino e con il midollo di bue, un buon brodo, tanto burro e il Grana Padano.
Il risultato era davvero sublime, il profumo di quel riso fatto da una persona così cara , rimarrà sempre con me.
Oggi quella vecchia ricetta e' ritornata nel presente, durante l'organizzazione di un Social Lunch per Mikamai, fatto con una bravissima Chef Eva Golia.
Il Risotto Giallo e le persone meravigliose due cose che per me stanno insieme, ecco Eva e' sicuramente una bella persona, incontrata in un brutto periodo della mia vita, una di quelle persone, che hai la fortuna di incontrare e che sanno riconciliarti con un mondo che a volte sembra non sia in grado di offrirti che cose brutte.
Eva nonostante i suoi problemi, ha comunque saputo, darmi una mano e parole che a volte sono state meglio di qualunque medicina.
E per cui quella ricetta del passato torna nel presente, a ricordarmi solo le cose belle, a riportarmi sulla strada della bellezza, che mai dovrebbe essere abbandonata.
I Social Lunch con Eva da Mikamai sono stati davvero divertenti ed anche utili e so per certo anche molto apprezzati dai partecipanti, soprattutto "el risott giald".

Ecco qui la ricetta
Il vero risotto alla milanese, con midollo di manzo e zafferano in pistilli
Ingredienti per 4 persone
350 g di riso Carnaroli
1,5 l di brodo di carne
1 piccola cipolla
40 g di burro
50 g di midollo di bue
1 cucchiaino di stigmi di zafferano
due bustine di zafferano
80 g di formaggio grana padano grattugiato
sale
1 - Preparate il brodo, io l'ho fatto con verdure manzo e pollo.
Portate a bollore il brodo, pelate, lavate e tritate finemente la cipolla. Fate sciogliere in un
tegame metà del burro e aggiungetevi il trito di cipolla ottenuto. Fate appassire per qualche
istante e unitevi, se vi piace, il midollo; mescolate e fate insaporire.

A questo punto unite il riso: due correnti di pensiero, la prima prevede la tostatura del riso in
una padella a parte, senza utilizzo di alcun grasso, e ricongiunzione degli ingredienti a riso
tostato; la seconda prevede che la tostatura del riso avvenga direttamente all’interno della
padella in cui si sono fatti rosolare cipolla e midollo
Noi abbiamo tostato il riso da solo e poi abbiamo aggiunto la cipolla rosalta con burro e midollo e devo dire che il risultao e' stato fantastico.
2 - Aggiungete un mestolo di brodo bollente, quando questo si sarà assorbito versatene
dell'altro e procedete così fino alla fine. Mescolate di tanto in tanto per evitare di fare attaccare
il riso; dopo 10-12 di minuti di cottura aggiungetevi lo zafferano sciolto in poco brodo, regolate
di sale e mescolate.
3 - Continuate a cuocere fino a quando il riso risulterà ancora ben al dente e leggermente
brodoso; spegnete il fuoco, aggiungete il grana grattugiato, il restante burro, quindi mescolate
mantecando bene il tutto. Coprite e lasciate riposare per un istante. Alla fine il risotto dovrà
risultare morbido ("all'onda") e cotto al dente. Servite subito decorate con i pistilli se volete.


Curiosità
Il vero risotto alla milanese non vuole l'aggiunta del vino, né bianco né rosso, dopo la tostatura
del risotto. Quella di aggiungere il vino sembra essere un'abitudine nata in Brianza, dove il
risotto giallo viene cucinato con la salsiccia. In questo caso la presenza del vino aiuterebbe a
stemperare il sapore del grasso del salume.
Altra questione controversa: il risotto va girato continuamente oppure no? È corretto
mescolare il riso in cottura il meno possibile, giusto quanto basta per evitare che attacchi. Se
avete l'accortezza di unire il brodo al momento giusto (cioè senza lasciare che il precedente
mestolo si sia assorbito del tutto) il riso non si attaccherà: rimestandolo in continuazione i
chicchi rilasciano infatti più amido, guastando la corretta cottura.
Un po' di storia tra le tante
l risotto alla milanese, o, come lo chiamano i milanesi, risòtt giald, che deve la sua fortuna a un particolare ingrediente, lo zafferano, una pianta il cui fiore, di un colore che varia dal lilla chiaro al viola purpureo, contiene tre fili rossi, da cui si ricava la caratteristica polvere, usata nell'industria dei liquori, come condimento, ma anche come digestivo e stimolante nervoso. I paesi dove si coltiva sono la Persia, l'India, la Spagna e la Grecia. Il nome zafferano deriva dall'arabo zaafaran; i latini, invece, lo conoscevano sotto il nome di crocus, genere di pianta che secondo la mitologia greca ha avuto origine dall'amore di Croco per la ninfa Smilace, a cui si erano opposti gli dei, che trasformarono lei nella pianta del tasso e lui in quella dello zafferano. Secondo la tradizione romana, invece, Mercurio, dio del commercio, durante una gara di lancio del disco colpì involontariamente il suo amico Croco e, affinché gli uomini non lo dimenticassero, fece tingere del suo sangue il fiore dello zafferano. La sua diffusione è seguita all'invasione della Spagna da parte degli Arabi (756 d.c.), che cominciarono a commerciarlo con gli altri paesi che si affacciavano sul Mediterraneo. Essendo ancora una spezie rara e pregiata, leggi molto rigide vietavano l'esportazione dei bulbi di zafferano dalla Spagna, che così ne mantenne il monopolio commerciale, fino a quando, sotto il regno di Filippo II (1527-98), un padre domenicano, tal Santucci, riuscì a sottrarne piccole quantità che portò nella sua terra d'origine, l'Abruzzo. Già sotto gli Sforza, lo zafferano faceva la sua comparsa negli eleganti banchetti milanesi (dove, tra l'altro, era diffusa l'usanza di ricoprire con una sottile foglia d'oro le vivande servite a tavola) In Italia le sole zone dove si produce lo zafferano sono la Sardegna e le terre intorno a L'Aquila; per questo da sempre i milanesi chiamano la famosa polverina zafferano d'aquila, alimentando la falsa credenza che abbia qualcosa a che fare con i rapaci; la convinzione si è talmente radicata che, nei negozi, si è cominciato a pubblicizzarlo con un falchetto impagliato. La tradizione vuole che lo zafferano, fin dall'antichità, fosse simbolo di ricchezza materiale e spirituale, nonché sinonimo di benessere, abbondanza, gioia e serenità; inoltre, secondo più di una cultura, la sua particolare sfumatura di colore è associata all'immortalità. Gli antichi Egizi lo usavano per dare alla loro pelle una colorazione dorata e se ne servivano per tingere le bende con le quali fasciavano le mummie. I Romani lo impiegavano per la preparazione di vini aromatici e di salse a base di erbe, per insaporire la carne, specie di pavone, e da accompagnare a frutta secca e miele. Inoltre le donne, nel giorno del loro matrimonio, indossavano un velo color zafferano, poiché gli si attribuivano delle proprietà afrodisiache. Nel Medioevo, la tinta dorata di questa spezie, offerta in occasione di banchetti e cerimonie, indicava la condizione più o meno agiata di una famiglia, dato che cinquecento grammi di zafferano costavano quanto un cavallo! Ci fu poi chi, come il sovrano inglese Enrico II, vietò alle donne di usarlo per tingersi i capelli, per evitarne lo spreco. In Oriente, la sua valenza simbolica era tanto forte che chi governava o intraprendeva un cammino spirituale vestiva abiti giallo zafferano, mentre in India i monaci lo usavano per segnarsi la fronte con simboli sacri. Ancora, in Persia e in Arabia, oltre che essere usato per tingere i fili di lana di tappeti e tessuti, se ne ricavavano unguenti e cosmetici destinati alle donne, che li impiegavano non solo per farsi belle, ma anche come strumento di seduzione.

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